Scrizioni ir-ritate

Scarabocchi e risorse creative nel malessere della normalità

Nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimava che nel mondo quasi un miliardo di persone convivesse con un disturbo mentale. Dopo che la pandemia ha fatto aumentare drasticamente i numeri, la stima per l’Italia si avvicina oggi ai diciassette milioni di persone che assumono psicofarmaci. Se assumessimo il consumo di queste sostanze come analizzatore del malessere della normalità ci apparirebbe chiaro che esso manifesta un sintomo più che una patologia: il desiderio insopprimibile di estraniazione, di fuga da un mondo che produce anzitutto sofferenza. 

Una delle più antiche storie di questa civiltà, che oralmente già veniva tramandata almeno quattromila anni prima di Cristo, inizia col racconto del combattimento tra il sovrano della città di Erech, Gilgamesh, e il selvatico Enkidu, che non essendo mai entrato nella città degli uomini era in tutto simile agli animali. Questa coppia di combattenti, d’intensità archetipale, racchiude il codice genetico di un dispositivo relazionale che ancora oggi orienta naturalmente il nostro sguardo. Gilgamesh ed Enkidu, rappresentano rispettivamente l’incluso nella città degli uomini e l’escluso. Il primo per due terzi divino e per un terzo umano, il secondo senza condivisioni umane e ancor meno divine. 

S’è dunque progressivamente consolidato e “naturalizzato” nella nostra civiltà un dispositivo relazionale fondato sulla dicotomia inclusione-esclusione. In questa dicotomia gli esclusi non sono soltanto gerarchicamente inferiori agli inclusi; assai peggio essi sono privati della loro qualità specifica di esseri umani. Gli inclusi, a loro volta, sono tali per conformità al mito identitario che la comunità s’è data per perimetrarsi. Questo processo di inclusione implica anche una sommersione dell’identità individuale da parte dell’identità di gruppo, che produce a sua volta una prima dissociazione foriera di malessere per la persona che la vive. 

Il dispositivo d’inclusione-esclusione non ricade quindi solo sui soggetti collocati fuori dal muro della città. Ognuno di noi è nello stesso tempo, in qualche modo, conformato ed escluso. Conformato nell’identità adattativa, escluso in quelle particolari configurazioni identitarie che egli dissocia al suo interno, perché il suo intorno sociale le riprova. L’esperienza di questa restrizione è ciò che anche chiamiamo malessere della normalità; un malessere che mentre segnala una condizione di imprigionamento, invita anche ad un percorso di liberazione. 

La mostra

Con questa mostra itinerante Sensibili alle foglie amplia la sua ricerca dalle forme espressive delle persone recluse nelle istituzioni totali, alle risorse creative nel malessere della normalità. In ogni istituzione ordinaria (famiglia, scuola, mondo del lavoro e del tempo libero, istituzioni politiche e della salute) sono potenzialmente all’opera quei dispositivi relazionali mortificanti che caratterizzano le istituzioni totali. 

Qualora essi trovino, nelle dinamiche istituzionali, condizioni favorevoli per manifestarsi, uno o più attori di quella specifica istituzione subiranno una vasta gamma di torsioni, alle quali tenderanno a sottrarsi dissociandosi in varie forme dalla loro condizione. Lo scarabocchio, prima ancora della scrittura, del disegno e del dipinto spontanei, appare come la più comune delle risposte dissociative a questo malessere. 

La mostra evidenzia quindi l’importanza della creatività quale risorsa per affrontare il malessere, con una particolare attenzione ai linguaggi più frequenti e significativi della vita quotidiana. Comunicando anche il disagio di chi vive in diversi contesti istituzionali, essa può essere utilizzata quale significativo strumento per accrescere la consapevolezza collettiva. 

Ogni esposizione opera anche come cantiere aperto per raccogliere materiali che potranno arricchire il patrimonio espositivo. 

Proposta espositiva

Scrizioni irritate è composta oggi da oltre trecento pezzi. Si tratta di scritture, disegni, dipinti, tags, scarabografie ed altri linguaggi, tracciati su diversi supporti: agende scolastiche, borse, porte, banchi, frigoriferi, oggetti della vita quotidiana. 

L’itinerario espositivo prevede grandi aree tematiche riferite ad alcuni contesti istituzionali: la scuola, innanzitutto, vista dagli studenti e dagli insegnanti, ma anche differenti luoghi di lavoro o di incontro, convegni e riunioni politiche. 

Alcuni documenti esposti sono stati prodotti in ufficio, in ospedale o nella propria abitazione, come nel caso dei ragazzi che tracciano segni sugli oggetti della loro stanza o producono opere particolari. La mostra propone manoscritti, disegni e dipinti di alcune persone ricoverate in case di cura per anziani, di Nemi (Rm) e di Bologna, nonché oggetti graffiti in spazi comuni, come alcuni centri sociali del nord Italia. Leggi in proposito Tags e graffiti. 

Nell’itinerario espositivo nascita, morte, adolescenza, malattia e solitudine emergono come momenti della vita che uno scarabocchio può aiutare ad attraversare con maggiore consapevolezza, mentre alcuni “scarabocchi d’autore” introducono al rapporto tra questo linguaggio espressivo e il mondo dell’arte. Leggi in proposito Pablo Echaurren e Renato Curcio.

Finalità e interlocutori sociali

La mostra mira ad una valorizzazione culturale di quei linguaggi espressivi, solitamente guardati con riprovazione dall’istituzione scolastica, che possono invece costituire una risorsa per una scuola attenta, anche dal punto di vista pedagogico, alla complessità culturale ed alla molteplicità identitaria di tutte le persone che vi partecipano. La mostra si rivolge quindi innanzitutto a tutti gli attori del mondo della scuola ma anche a quegli operatori che lavorano nel campo artistico e della creatività.

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